Presidente in carica, al termine del suo primo mandato. Non ricandidato. «Ero di fronte a un bivio: mi ricandido, sapendo che in campo ci saranno due proposte alternative di centrosinistra, o mi faccio da parte e favorisco l’unità di quella che, nonostante gli ultimi risultati elettorali, è ancora l’unica comunità politica? Mi sembra che non ci fosse spazio per una scelta diversa da quella che ho preso. Ha prevalso un progetto di condivisione e non il mio ego».
Paolo Frattura è a Palazzo Vitale. Sta preparando la riunione, in programma giovedì, del tavolo tecnico sulla sanità. È ancora commissario. La sanità è ancora commissariata. «Ma non è certo quella del 2013, il Molise non è quello del 2013», controbatte subito. Continua a lavorare. Poi, dal 23 aprile, cosa farà? Il braccio di ferro con Molise 2.0, presente a sostegno di Veneziale con due liste (non le cinque annunciate), per ora è sospeso. Chissà che non riprenda dopo il voto nel Pd.
Un po’ di amarezza l’avrà provata, presidente, è umano.
«Magari quando condividi un progetto comune e lo scegli rispetto al tuo ego ti aspetti una consistenza diversa, però questa è un’altra storia».
Non le hanno fatto male i salti della quaglia? Quelli dell’ultima notte almeno…
«Il centrosinistra ha vinto nel 2013 perché tanti moderati, che fino ad allora avevano appoggiato Iorio, hanno inteso appoggiare un centrosinistra a guida moderata. Ma hanno sempre sostenuto la condivisione per un progetto, e per di un’ideologia, per cui quando viene meno il progetto si schierano dove si sentono maggiormente a casa».
In campagna elettorale dovranno rinnegare quanto hanno fatto con lei.
«Ho sentito dire a Toma che servono idee migliorative, non mi pare abbia detto che il nostro lavoro è da buttare a mare».
Non sarà mica Toma la continuità del suo governo? Lei è stato già attaccato per questo dai suoi avversari politici.
«Non confondiamo i piani. Stavamo ragionando dei moderati che sono andati altrove. Noi invece, il centrosinistra, vogliamo far tornare a sognare i molisani. E la risposta alla sua domanda provocatoria è che il nostro presidente è Carlo Veneziale, un assessore della nostra giunta. Cinque anni non sono stati inutili. Abbiamo fatto, ho fatto, errori ma sono stati anni esclusivamente dedicati a questa esperienza. Il mio più grave rammarico è che delle tante cose realizzate nei cittadini non ci sia percezione. Ma sono convinto che il tempo sarà galantuomo. Il Molise che consegnerò, mi auguro a Carlo Veneziale, è totalmente diverso da quello che abbiamo ereditato cinque anni fa. I numeri che raccontano questo cambiamento permetteranno a Carlo di riaccendere l’entusiasmo nel centrosinistra».
Lei cosa farà in campagna elettorale?
«Sarò pancia a terra a sostegno di Veneziale per tutto ciò che mi chiederà di fare».
Che sanità troverà quindi il suo successore?
«Una sanità che grazie all’intervento delle altre Regioni, un intervento negli anni meno consistente, ha azzerato il disavanzo. Avrà, inoltre, la possibilità di assumere oltre 900 persone, di investire in sanità pubblica 100 milioni e di concretizzare l’integrazione fra la Fondazione Giovanni Paolo II e il Cardarelli. Senza contare l’avvicinamento dei servizi al cittadino, la scommessa sul territorio, la riconversione delle strutture che ci accusavano di voler chiudere, il coinvolgimento dei medici di base e dei pediatri di libera scelta».
E cos’altro lascia la sua amministrazione. Cosa mette lei nell’attivo del suo mandato?
«Direi, intanto la riorganizzazione amministrativa con una macchina più efficiente. E poi l’elettrificazione della ferrovia. Mi hanno tutti presi in giro per la metropolitana leggera, ma quel progetto ci ha dato la possibilità di drenare 80 milioni per elettrificare la linea da Roma a Campobasso. Fra pochi anni arriveremo nella Capitale in due ore e mezzo. Aggiungo le politiche sociali basate sulle regole e non sulla negoziazione, l’attenzione all’edilizia e alla sicurezza scolastica, interventi significativi per la viabilità provinciale, la promozione del Molise – da Expo in poi – che ci ha portato a far dimenticare il tormentone sul Molise che non esiste e ad essere invece attrattivi in molti canali turistici».
Però lei non si ricandida. Qualcun altro coglierà i frutti.
«Oggettivamente nella percezione dei cittadini tutto questo non c’è. Mi dicono: ma negli ultimi due mesi fai le cose? Non le faccio adesso, i cinque anni di sacrificio producono oggi i risultati. E il presidente Veneziale in campagna elettorale non dirà “cosa vogliamo fare” ma cosa abbiamo già fatto e cosa, per questo, potremo fare».
Spesso le è stato rimproverato di non essere uno da ‘pacca sulla spalla’. Però il voto ai 5 Stelle ha dimostrato che i molisani non vogliono più neanche quel politico…
«Guardi, io non avrei mai avuto il coraggio di proporre il reddito di cittadinanza senza avere prima la certezza di come realizzarlo e con quali coperture. Capisco che tre o quattro cose come questa generano un’aspettativa importante e comunque spero non siano questi i motivi del voto ai 5 Stelle. Io ho fatto l’imprenditore e il libero professionista. Quando ho assunto una persona non sono stato poi costretto a licenziarla perché il mercato ha bocciato la mia idea progettuale. La Regione era sull’orlo del default e ora è credibile. Sulla disoccupazione, certo, non abbiamo risolto. Ma nel 2012 gli occupati erano 95mila e oggi 107mila. E devono ancora dare risultati concreti gli investimenti che abbiamo messo a bando con l’area di crisi».
E allora qual è stato il suo errore più grande? Nelle alleanze, nel tenerne alcune e lasciarne altre?
«No. L’evidente incapacità di comunicare ciò che stavamo facendo. Tanto che i cittadini non lo hanno percepito».
Quando passerà le consegne cosa farà? Dirà addio anche alla politica o, invece, si è appassionato e continuerà?
«La politica non è un’attività individuale. Continuerò a farla se la squadra, il centrosinistra, avrà piacere che io continui».
rita iacobucci